De Vrij

E già: una si deve guardare le spalle anche quando va da Alber Heijn. Me ne stavo lì a ponderare se prendere o meno le uova (che mi servono, ma riportarle a casa in bici... la lista di cose che possono andare storte è infinita), quando mi sono imbattuta in questo con la coda dell'occhio... e a quel punto mi sono girata, e sono anche tornata indietro, per vedere se davvero il destino mi stesse prendendo in giro. 

Lo stava facendo a metà, in realtà: niente "de", questa roba è soltanto "priva di glutine" (in inglese si direbbe "gluten free"): dovevo aspettarmelo, visto che in Olanda "vrij" è una parola "normale". Solo che per me questa storia del rinnovo (che doveva arrivare, più o meno come Godot e l'incremento del 50% della borsa di dottorato, ma non si è visto, come... Godot e sto benedetto incremento) è un tasto un po' dolente. Poco, ma un po' sì. 

E dire che io non sono assolutamente una da prendersela per queste cose. Sarà che sono rimasta traumatizzata dalla famosa cessione di Nesta e Crespo, l'ultimo giorno di mercato – sti cazzi che sono passati più di dieci anni, certe mazzate nei denti non si cancellano – e da lì ho deciso di fregarmene: ma io solitamente ignoro trattative varie e avariate e mi limito a vedere, il 1° settembre, chi c'è in rosa. Tanto a che serve farsi il sangue amaro? 

Ho sempre pensato che vada come vada il mercato, la Lazio rimane: ed è questo che conta. E lo penso tutt'ora.

Per cui alla fin fine, Stefan, pazienza. Mi sei piaciuto, ci siamo divertiti, mi hai fatto divertire. Ci possiamo anche salutare. Ti auguro ogni bene, a meno che tu non decida di andare alla Juve o al Barcellona, perché purtroppo ai giocatori di queste due squadre auguro solo la diarrea su base permanente (quando sono buona). Ci sta, che tu voglia andartene per l'Europa (anche se un cavolo di rinnovo farlocco per far prendere due spicci alla Lazio lo potevi firmare, via); non sei il primo né sarai l'ultimo. E d'altra parte, per voi è un lavoro: è per noi, che è una schiavitù, una condizione esistenziale dalla quale non c'è clausola rescissoria che ci sciolga – anche quando lo vogliamo, perché io a volte l'ho voluto. 

É buffo: i giocatori nel gioco del calcio sono tutto, ma di fatto sono anche la cosa meno importante quando si parla di spirito del calcio: in quella relazione a due tra il tifoso ed il club, loro restano sullo sfondo. E ripensandoci, credo sia questo il motivo per cui non ho mai voluto far mettere il nome sulle mie magliette della Lazio: non servono intermediari di passaggio, basta quella maglia sulla mia pelle, e il cerchio è chiuso. 

ps. Ovviamente per "Lulic 71" farei un'eccezione, eh che diamine!




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