Di un sabato ad Amsterdam

Una settimana fa ho preso il Flixbus e me ne sono andata a passare la giornata ad Amsterdam. 
Così, di impulso: è il bello di vivere in un paese piccolo ed avere collegamenti buoni e mediamente economici (ah: con le tariffe giuste, il Flixbus costa la metà del treno: pensateci, se vivete qui e volete andare ). 

Ad Amsterdam ero già stata nel 2013, arrivandoci in autobus dalla Germania alle cinque e mezza della mattina e fermandomi due giorni (ero stata a trovare un'amica americana che passava l'estate a Berlino; andavo – venivo? – a trovare un'altra amica che viveva e vive qui a Den Haag; tutte e tre ci eravamo conosciute ad Haifa qualche anno prima, perché così va il mio mondo). Fu il mio primo incontro con le case olandesi e con le loro micidiali scale a pendenza alpina, sulle quali quasi mi schiantai nel portare su la valigia; alloggiavo in un ostello brutto e spartano che aveva – lo ricordo ancora adesso – dei cessi demenziali con la fotocellula della luce che non ti percepiva se stavi seduto (logico, no? uno al cesso sta in piedi...).
Fu anche il mio primo incontro con le bici usate come normale mezzo di locomozione: e adesso che ne guido una, devo chiedere scusa alle decine di ciclisti la cui vita (o almeno pazienza) ho seriamente messo in pericolo fermandomi come una scema in mezzo alle piste ciclabili in corrispondenza degli incroci, o attraversando senza guardare nonostante mi scampanellassero furiosamente. (É che io sono di Perugia: e come tale cresciuta in una città dove la bici è roba da scampagnate domenicali per chi ha voglia di faticare, ma assolutamente non è parte della quotidianità. E quindi mentre il clacson della macchina è un segnale inequivocabile che io associo al pericolo, o comunque allo "stai attenta!", il campanello della bici non mi fa lo stesso effetto: non sono abituata a sentirlo, non si è registrato nel mio subconscio alla voce "svegliati". É un rumore di fondo, ignorabile e solitamente ignorato.)

All'epoca era agosto: il che non mi salvò dalla pioggia, ovviamente (per metà del primo giorno diluviò: ma io lo passai nei musei, e buona notte al secchio) ma mi permise di vedere una città rigogliosa, con il mercatino dei fiori traboccante, i canali decorati da vasi di piante, e la luce calda del sole (quando finalmente uscì) che baciava tutto. Amsterdam mi piacque tantissimo: più esteticamente bella e più semplice di Berlino, più reale di Delft, aveva una caratteristica che ho trovato in pochissime città: era esattamente all'altezza della mia immaginazione.

Rivederla a distanza di quattro anni e mezzo (mi fa impressione scriverlo: dove è volato questo tempo?) mi ha quindi fatto piacere: anche se ho fatto l'errore di andarci senza meta, e quindi ho finito per camminare troppo e disordinatamente, finendo per essere stanchissima e intirizzita dal freddo. Mi ha fatto un enorme piacere ritrovare alcune piazze che mi erano rimaste impresse: lì avevo fatto colazione, là avevo controllato sulla cartina la posizione della casa di Anne Frank realizzando che era proprio dietro l'angolo, quello era il McDonald's all'imbocco del mercato dei fiori dove avevo pranzato. Cose così, scemenze: ma mi hanno dato l'idea che la città mi avesse aspettato. Non era cambiata. 

Di seguito, qualche foto. Non mi entusiasmano (non ho trovato grandi scorci, oppure dipende dal fatto che con il cellulare ancora non mi sento a mio agio), ma per dare un'idea vanno bene. 





Casa–Museo di Rembrandt: dimostrazione su come venivano preparati i colori ai suoi tempi.






Ps. Le foto in questo articolo sono tutte scattate da me e non vanno riprodotte senza citare la fonte. All pictures are mine. Please don't steal my stuff, thanks. Link to my blog if you wanto to share.

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